L’ep d’esordio dei Tremal Naik

I Tremal Naik sono una band di Padova formata da Renato (voce e chitarra) Davide (batteria), Giulio (Basso) e Tiziano (sassofono, tastiere e chitarra acustica). I loro nome è un chiaro omaggio a Salgari e alle avventure descritte nei suoi libri. Hanno da poco pubblicato il loro primo EP omonimo, simboleggiato da un grande albero arancione in un cielo allucinogeno. Renato ci racconta che le canzoni nascono più di un anno fa “alle spalle avevo una band prog-stoner-metal (Buena Madera) con la quale avevo registrato un EP che aveva ricevuto molte recensioni entusiastiche e l’attenzione di etichette serie, oltre ad arrivare in finale al Veneto Rock Contest, ma che si era arenata per problemi fisici del batterista, e una band indie-rock (The Base) con la quale nonostante avessi registrato un EP e fatto molti concerti non aveva mai davvero funzionato”. Poi la voglia di fare musicalmente qualcosa di diverso “Non avevo un obiettivo particolare, solo giocare con i suoni e le melodie cercando di essere immediato e naturale, ne son venuti fuori brani vagamente psichedelici, brevi e orecchiabili, nei quali per la prima volta mi son messo in gioco come cantante”. Ne esce un demo casalingo che conteneva 10 canzoni ma ancora non aveva una band pronta a suonarlo.

E’ in quel momento che nascono i Tremal Naik che pian piano fanno proprie cinque delle canzoni scritte da Renato. Hanno un sound elettro pop fatto di melodie vocali e sintetizzatori acuti che abbracciano la psichedelia, mescolano il cantato in italiano e inglese, caratterizzando le canzoni con un timbro di voce particolare creando uno psych pop leggero che sarebbe adatto a passare in radio. “Da un lato, l’inglese è la lingua del pop e del rock, ed è facile incastrarla nei ritmi e magari nascondere al pubblico, inevitabilmente italiano, questioni molto personali, che sarei stato imbarazzato a cantare in italiano. L’unica esclusa è stata “Corvo”, aveva una melodica smaccatamente pop che volevo contrastare con un testo vagamente polemico e autocritico, il gioco era fare un cantato con frasi acide se non cattive e un parlato molto sognante, visto che questo scontro era il senso della canzone (a differenza delle altre dove prevale l’aspetto strumentale) avevo bisogno di porre l’accento sul testo, così ho optato per l’italiano, la lingua di quasi tutti quelli che mi avrebbero sentito.”

Potete ascoltarli qui:

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