Caponetti ci presenta il suo primo EP “MADDAI”

Abbiamo ascoltato “Maddai” e scoperto sbalordite che Caludio (aka Caponetti) con il suo primo EP uscito proprio oggi, ha una vocalità molto espressiva attraverso la quale dipingere il mondo da nuovi punti di vista. Esempio: l’immagine del prete che beve la vodka in discoteca, da 💯.

Ci sembra che spesso nei tuoi testi ricorra il tema della strada. A cosa è dovuta secondo te questa ispirazione magari inconscia? Il percorso che ti ha portato da Ascoli Piceno a Milano, o strade che vorresti ancora percorrere? Negli ultimi anni ha fatto un sacco di volte Milano-Marche e viceversa, in treno e in macchina. Ogni tanto viaggiare e spostarmi mi aiuta, mi rimette in circolo i pensieri, è anche un momento per ripensare a tutto quello che hai fatto o a quello che dovrai inventarti domani. Mi serve per scrivere.

La canzone “Solo” è un bellissimo riferimento al mondo di Star Wars, ma sembra molto diversa dai brani precedenti, sia per la scrittura sia per la scelta di farne una ballata d’amore. Come è nato questo brano? Ian Solo è un personaggio che mi piace, perchè si evolve e capisce l’importanza di avere alleati, era un giusto parallelismo per quello che stavo vivendo, e poi volevo assolutamente buttare una ballata anni 90 nel disco.

Parli molto di futuro: l’oroscopo di Paolo Fox, un futuro diverso, Google Maps che ricalcola il percorso per la felicità, ecc. Cosa vedi nel tuo? Non lo so, spero tante canzoni, concerti, e spero di essere contento.

Il mondo della musica ha subito un duro colpo a causa dell’emergenza sanitaria. Come pensi si potrà tornare a godersi i concerti dal vivo? In sicurezza e magari senza paura. Penso che con le dovute cautele e precauzioni potremmo ricominciare ad andare ai concerti. Mi piacerebbe tornare a vedere i concerti come prima del Covid, non dico pogare ma almeno qualche abbraccio! Mi auguro che questa cosa finisca presto.

Pensi che il cantautore oggi abbia una responsabilità verso il suo pubblico quando racconta delle storie e descrive la realtà, come fai tu? Credi sia più importante il messaggio o seguire una melodia? Insomma, qual è il tuo approccio alla musica. (Te lo chiediamo perché hai 30 anni e hai da poco firmato con un’ottima casa discografica, quindi pensiamo che tu ci abbia riflettuto parecchio e che la musica per te sia un po’ una necessità). Provo a rappresentare la realtà attraverso i miei occhi, perché è l’unico linguaggio e punto di vista che conosco. Di pancia direi che il messaggio che vuoi trasmettere è la cosa più importante, ma senza una buona melodia non c’è emanazione e si fa fatica a veicolare qualsiasi messaggio… insomma, un piatto può esser buono quanto ti pare ma se è bruttissimo magari non ti viene voglia di mangiarlo.

Leggiamo nella tua biografia che hai girato molto in questi anni con la tua inseparabile chitarra. Ti è capitato anche di fare l’artista di strada. Come descriveresti questa esperienza e la consiglieresti per prendere più consapevolezza di sé e delle proprie capacità? E’ divertente suonare in giro, a caso. Quando avevo 15 anni prendevo il treno insieme ad un mio amico e andavamo in paesi vicini al nostro (per non farci riconoscere) e ci esibivamo – che parolone! – ed eravamo davvero imbarazzanti perché io facevo canzoni grunge con la chitarra classica e l’altro faceva il giocoliere ed eravamo entrambi pippe, però ci divertivamo. Una volta in 3 ore di “spettacolo” nessuno si fermò e il pizzaiolo che avevamo davanti, preso dalla compassione, ci regalò qualche pezzo di pizza. Beh, in fondo eravamo a Loreto, che ci vuoi fare, è un posto di preti! Suonare in strada è una grande palestra, ed è una strana location per fare musica perché a volte sembra che ti intrometti nella vita delle persone. A Lisbona mi è capitato di fare delle jam con altri musicisti per strada, tipo scena degli aristogatti, ed è davvero una figata. La strada è il tuo palco e le persone le guardi in faccia, vedi subito chi si diverte e chi no, poi il bello è che ogni tanto, se la gente si avvicina, diventa quasi una festa.

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