I MIGLIORI ALBUM ITALIANI DEL 2018

Questi ultimi anni sono musicalmente interessanti, perchè il pop dei grandi interpreti ha lasciato spazio ai tentativi degli indie e dei rapper di invadere il mercato, con la conseguenza che le case discografiche hanno iniziato a investire di più e i calendari dei locali e le line up dei festival puntano sempre più su nomi che un tempo avrebbero potuto suonare solo al Mi Ami. Pare che anche il Festival di Sanremo quest’anno si aprirà alla nuova generazione… Cominciamo perciò la nostra classifica dei migliori album italiani del 2018 con tre dischi molto diversi tra loro: il rapper, il cantautore ed il producer. Non abbiamo potuto inserire in classifica i Coma_Cose, perchè non hanno dato alle stampa un nuovo album, ma sono appena usciti con un vinile in edizione limitata di “Inverno Ticinese”, ep digitale che abbiamo sinceramente divorato e consigliamo di farlo pure voi.

 

 

 

 

 

  1. SALMO – Playlist

Abbiamo ascoltato questo album a ripetizione, ma soprattutto Salmo ci ha tenute incollati a sé per tutta la durata della campagna di lancio con mille idee di marketing e comunicazione. Ha fatto uscire un video su Porn Hub, poi uno su Netflix, ha invitato Asia Argento sul suo palco mentre cantava “Se penso ad Asia Argento sono ricco dentro/Perché manco se mi paga glielo ficco dentro”. Il primo singolo “90 minuti” ha superato un milione di visualizzazioni in 24 ore, ed è sicuramente uno dei pezzi più belli del disco. “Sparare alla luna” con Coez è più melodico, “Il cielo nella stanza” è cantato, “Ricchi e Morti” e “Perdonami” hanno barre taglienti, “Tiè” vede Salmo alla batteria e sottolinea la sua attitudine rock. Ogni canzone di “Playlist” – tutte scritte bene, intelligenti, contemporanee, che suonano da Dio – sta in piedi da sola, perché in fondo l’album in sé è un concetto vecchio…potremmo dire che l’album è al servizio della comunicazione. C’è poco da fare, Salmo è il re.

 

 

 

 

 

  1. MOTTA – Vivere o morire

E poi c’è Motta, che invece prende un’altra strada. Se non fosse per la sua relazione con la Crescentini, forse non sentiremo mai parlare di lui in ambiti non musicali. Incredibilmente tira fuori un altro album, dopo il grandissimo “La fine dei vent’anni”, che ci entra prepotente nel cuore. “Vivere o morire” è autentico, un concept album sulla scelta binaria che l’esistenza ci mette davanti. Una voce trascinata che si muove su un sound ottenuto per sottrazione, quasi acustico ma in realtà più curato e ricercato. Spiazzano poi il pezzo di apertura “Ed è quasi come essere felice” e il penultimo brano “E poi ci pensi un po’” che chiude con un’orchestrina cubana, ricordo lontano. Si dice che sia pronto per il Festival di Sanremo (che è stato la consacrazione, nel bene o nelle difficoltà, per molti cantautori)… lo scopriremo in questi giorni.

 

 

 

 

 

  1. COSMO – Cosmotronic

Il podio termina con un altro genere ancora, quello di Cosmo, da ballare, remixare, cantare. Un disco diviso in due parti: la prima fatta di bassi pompati e tormentoni, come “Sei la mia città”, la seconda più simile ad un esercizio di stile, dove Cosmo gioca con la techno minimale. Un lavoro ambizioso che mescola le carte in tavola e fa compiere all’artista un passo in avanti, in un momento in cui tutti hanno paura di osare. E, soprattutto, un disco da andare a vedere live.

 

 

 

 

 

  1. CALCUTTA – Evergreen

Dopo “Mainstream”, album che in qualche modo ha cambiato il corso della discografia italiana facendo puntare i riflettori su un mondo prima ignorato, “Evergreen” attesta Calcutta come cantautore a sé. Non più l’imitazione di Carboni o di Dalla, ma il cantautore che glorifica la nostra tristezza generazionale, riempiendo l’Arena di Verona e i palazzetti, rimanendo comunque sempre in felpa con cappuccio.

 

 

 

 

 

  1. NOYZ NARCOS – Enemy

In un mondo di trapper e finti rapper che flirtano con la musica pop, torna Noyz Narcos con il suo quinto album solista in quindici anni di carriera. Mantiene un’ atmosfera scura su un flow pazzesco, va dritto con rime che sono un esercizio di stile, campiona “Sinnò me moro” di Gabriella Ferri, ma chiama anche inaspettatamente a duettare, tra gli altri, Carl Brave & Franco126 e Coez trattandoli con grande rispetto.vPS. Pare che questo sia il suo ultimo album.

 

 

 

 

 

  1. GAZZELLE – Punk

Gazzelle ci ha messo la sua penna, o meglio le sue note vocali (il cantautore è famoso per non appuntarsi mai nulla ma per registarsi tutti i pensieri sulle note vocali del telefonino), Federico Nardelli ha fatto la produzione aspirando alla vera musica, quella che diventa eterna. Il risultato è un disco che supera di gran lunga “Superbattito”, molto più curato e maturo nei suoni e dedicato a tutti i cuori infranti della generazione 2000.

 

 

 

 

 

  1. CARL BRAVE – Notti brave

Dopo il successo insieme a Franco 126, Carl Brave decide di fare un disco solista ma senza cambiare stile. Riassumendo, in poche parole, il disco parla di cazzeggio nella Roma notturna. Synth, tastiere, una serie di featuring ben calibrati e un’apertura pop che fanno conquistare in tre, due, uno a questo album, il disco di platino.

 

 

 

 

 

  1. TEDUA – Mowgli

Inutile essere scettici nell’anno della trap. Meglio invece provare a cercare, tra le tante uscite, quali possono effettivamente avere un valore. Secondo noi, è il caso di questo disco. Tedua racconta la legge del più forte giocando con assonanze interessanti a cui è difficile stare dietro, è anticonvenzionale nel ritmo e curato nei suoni.

 

 

 

 

 

  1. THE GIORNALISTI – Love

Ecco cosa succede quando metti a disposizione di un  “gruppo indie” tanti soldi quanti ne servono per fare un gran disco. “Love” è acuto, vario e coerente; prodotto da Durdust, si struttura in bilico tra atmosfere epiche e frammenti di cartoni animati Disney, tra quello che la nostra generazione si è raccontata e quello che ha sognato. Unidici tracce che raccontano i trentenni di oggi, quelli che sognano una casa al mare dove fuggire da tutti sperando in un finale da film.

 

 

 

 

 

  1. THE ZEN CIRCUS – Il fuoco in una stanza

Un concept album in pieno stile Zen Circus, in grado di raccontare una generazione: la vita a volte ti prende in contropiede, quando i tuoi nonni ti lasciano e i tuoi comportamenti sono sempre più simili a quelli dei tuoi genitori. Un disco che non aggiunge nulla alla produzione della band ma che aggiunge nuove canzoni alla nostra best playlist, tenendo sempre alta l’asticella. Anche per loro si parla di Festival di Sanremo. Sarà vero?

 

 

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