LE LUCI DELLA CENTRALE ELETTRICA atterrano nel deserto del Nevada

Abbiamo tutto da vincere e niente da difendere.

Il nostro super potere è essere vulnerabili.

Le Luci della Centrale Elettrica hanno aspettato tre anni prima di uscire con il nuovo album “Terra” e noi ce lo siamo divorato in mezz’ora di macchina venerdì sera tra le strade della campagna veneta. Perché se c’è una cosa che va fatta con un disco di Vasco Brondi è ascoltarlo tutto d’un fiato come leggeresti una poesia.

La copertina di “Terra” è un’installazione di land art di Ugo Rondinone nel deserto del Nevada. L’album non ha la ricerca musicale di “Costellazioni” – stilisticamente più ricco di tutti i lavori precedenti – ma gioca su nuove suggestioni etniche, la cifra stilistica è più matura, meno vascobrondiana nel senso solitamente negativo del termine (anche se “Noi la chiameremo felicità” resta il nostro album preferito) e più intensa nel significato.

Delinea una terra dai confini labili dove il canto delle sirene si confonde con quello delle suonerie dei cellulari, dove chiese e minareti condividono le stesse macerie. C’è uno sguardo sul mondo che è come quello di una madre mentre guarda il figlio piccolo cadere inevitabilmente più e più volte prima di imparare a camminare: da una parte parla delle nostre potenzialità infinite (“A forma di fulmine”), della nostra capacità di inventare tanto le armi di distruzione di massa quanto le canzoni d’amore (“Coprifuoco” e vedi un po’ il libro di Jared Diamond “Il terzo scimpanzé”), delle culture diverse che si mescolano e delle stelle che ci saranno sempre per orientarci (“Waltz degli scafisti”); dall’altra racconta la debolezza delle superpotenze, le grandi opere che torneranno polvere, i bar che cambiano gestione, città nuove che diventeranno antiche (per riassumere tutto in “Moscerini”). Ma la conclusione è sempre il susseguirsi di Giorni allegri e disperati nei secoli dei secoli (“Viaggi organizzati”). E’ quindi uno sguardo rilassato, che a tratti non può non chiudere le palpebre al manifestarsi di attentati, guerre e uragani ma che in fondo sa che dalle rovine nascono sempre alberi in fiore.

Dieci canzoni di cui “Stelle marine” è una delle più belle, dedicata a una Milano dal cielo blu metallizzato che riceve gli immigrati. “Nel profondo Veneto” tocca di più noi ragazzi fuori sede, con negli occhi una vaga idea di un futuro migliore. “Chakra” è la canzone d’amore dell’album, “Iperconnessi” critica la nostra società dell’opinione.

Un album da conoscere a memoria, fotografia della nostra terra, come quel murale di Keith Harrings (sì, siamo appena state alla mostra a Palazzo Reale), in cui due mani gialle contemporaneamente abbracciano e stritolano il mondo.

 

TRACKLIST

A forma di fulmine

Qui

Coprifuoco

Nel profondo Veneto

Waltz degli scafisti

Iperconnessi

Chakra

Stelle marine

Moscerini

Viaggi disorganizzati

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